Una riflessione sulle maschere che a volte ci accompagnano, e che diventano per noi una seconda pelle, difficile da distinguere rispetto alla verità che spesso, inconsapevolmente, nascondiamo a noi stessi e agli altri.
C’è una ragazza curiosa che ama osservare i più grandi. Lo fa per imparare, soprattutto da quando ha capito che le loro contraddizioni sono, a tal fine, dati estremamente interessanti. Come quando vede sua madre complimentarsi con la vicina per le piante del suo balcone e poi, rientrata in casa, definirla sottovoce “pollice nero”. Oppure mentre spia da dietro la zia pacifista seduta sul divano augurare, sul cellulare e sotto pseudonimo, la morte ai Talebani. Anche il fratello maggiore la stupisce quando, da convinto divulgatore salutista, poi fuma di nascosto in garage. Non è tanto la contraddizione in sé che la turba, quanto il nascondere.
Le sembra che stiano tutti recitando una parte, un ruolo di cui talvolta dimenticano il copione. E se invece quel copione l’avessero imparato talmente bene da diventarne schiavi, ignorando persino le proprie vere emozioni? Come attori inconsapevolmente abili nel dissimulare i propri sentimenti e i propri desideri sotto mentite spoglie.
Ragazza perspicace, a lei questo argomento interessa parecchio, perché ama il teatro e frequenta un gruppo di giovani filodrammatici, guidato da un maestro a lei molto simpatico che cita spesso la tragedia greca. Allora, come prima mossa, Chiara vuole cercare sul vocabolario di greco – del fratello fumatore insospettabile, che ha fatto il Classico – proprio la traduzione della parola attore. Brancolando tra caratteri indecifrabili, infine, trova la versione per lei più comprensibile: hypocrites. Abbiamo detto che la ragazzina è curiosa e infatti, non paga, a questo punto va a cercare nel web l’origine di questo termine, e scopre che deriva dal prefisso Hypo – sotto – e Kritos, participio passato del verbo Krinein che significa “spiegare, giudicare, distinguere, separare”.