la stazione
L’importanza di creare uno spazio interiore di ascolto e serenità, nel quale permanere mentre il mondo intorno a noi ci sollecita impazienza, rabbia, disagio, inadeguatezza, risuonando con le nostre parti ferite e ancora in attesa di cura e trasformazione.

La signora con il cappotto blu e il foulard a fiori palleggia lo sguardo sempre più nervosamente tra l’orologio che le cinge il polso e il tabellone su cui si avvicendano le partenze. In realtà c’è ancora molto tempo. Siamo nell’atrio di una piccola stazione di provincia e lei è ferma, o meglio scalpitante, in attesa del suo turno per acquistare il biglietto. Purtroppo il distributore automatico è fuori uso e per alcuni treni non è possibile utilizzare Internet. Già da un po’ si è creata una lunga fila e la signora si slaccia il cappotto, si toglie il foulard iniziando a bofonchiare qualcosa in modo da farsi sentire, quasi una protesta. A nessuno dei presenti piace questa situazione che sa di inutilità, di inefficienza, di poco rispetto del tempo altrui e così inizia a serpeggiare un mormorio, più che altro fatto di occhiate verso lo sportello incriminato, dietro al quale la povera cassiera sta invano spiegando qualcosa a un anziano confuso. Alcuni hanno il naso sul cellulare, un ragazzo ascolta musica dalle cuffiette, qualcuno legge, qualcun altro attacca discorso sul clima. Tutto per andare con la testa altrove, tanto tocca comunque aspettare. Certo, restare lì con l’ansia che sale e il vuoto che ospita pensieri preoccupati su altri problemi, è una sensazione poco piacevole. Qualsiasi cosa va bene pur di non soffrire questa inutile attesa. Solo la signora, non riuscendo a distrarsi, scarica sugli altri la sua impazienza.
Ci potrebbero essere tantissimi altri esempi di difficoltà, o imbarazzo, in cui non si riesce proprio a stare. Al contrario, il provarci può far pensare alla sopportazione del martire, o suonare come un atto da masochisti, quasi un abuso da parte di noi stessi. 
 
 

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