il rotolo diafano
In un tempo senza tempo, un breve racconto di vita monastica ci fa riflettere su come lo strumento di lavoro interiore dell’immaginazione sia paragonabile, e in qualche modo analogo, all’uso che se ne può fare oggi in una moderna comunità spirituale… Anche la psicologia ci spiega come questo sia possibile.
Il racconto
«… C’era una volta nel deserto siriano, un monastero abitato da trecento monaci impegnati nella loro routine di preghiera e lavoro. La loro vita era punteggiata da un’opulenza straordinaria di visioni magnifiche e grandiose: ogni mattina almeno due o tre di loro raccontavano ai confratelli le loro immagini, condividendone la gioia e la luce. Vivevano tale realtà come se non dovesse cessare mai. Un giorno tutto questo cambiò. Per tre mesi niente visioni, niente di niente… ci fu un generale smarrimento e i monaci si interrogarono facendo ipotesi su ipotesi. Si erano forse ammalati interiormente? Tutta la comunità si pose molte domande. Il vecchio abate Giacobbe, preoccupato, chiedendosi cosa fare, si rivolse agli altri anziani della comunità, padre Giovanni e padre Tommaso. Dopo lunghi discorsi e ripensamenti, presero infine la decisione di consigliarsi con un sant’uomo dei dintorni, tal Pigliamosche. Questi meditò a lungo nel silenzio più totale. Intanto dal canto suo l’abate, nel fondo del suo cuore, andava sempre più convincendosi che qualcuno avesse rubato le meravigliose visioni alla comunità. L’anziano sant’uomo, interpellato, dichiarò: «Cercherò di ritrovare le vostre visioni, ma non posso promettere di restituirvele. Non è escluso che siano perse per sempre».[1]
 
[1] Culianu P., Il rotolo diafano, in La collezione di smeraldi, Jaca book, Milano1989
 

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