Essere o non essere, questo è il dilemma? S'interrogava l'Amleto di William Shakespeare. Ma come facciamo a essere se non conosciamo noi stessi? Cominciamo dal corpo, visto che siamo soliti ascoltarlo solo quando ci fa male. Proviamo a sederci tranquillamente: concentriamo l’attenzione sul nostro braccio, percepiamone i muscoli che si muovono arrivando fino alla mano, alle dita che si allungano per afferrare un bicchiere... Sentiamo la mano mentre lo avvolge.
Cosa osserviamo? Probabilmente avvertiamo forte la sensazione di avere un braccio, di possedere una mano con delle dita…
E se ponessimo la stessa attenzione anche sulle nostre emozioni?
Facciamo un esempio. Abbiamo perso una persona amata, sentiamo il nostro dolore, forse disperazione?
Ma fermiamoci un attimo, facciamo un bel respiro e concentriamo l’attenzione su cosa sentiamo. Possiamo chiederci: era una persona che amavamo veramente?
Come stavamo in realtà insieme a lei o lui? Proviamo a dare ascolto alla parte di noi che soffre: percepiamo il vuoto e le ferite riaperte da questa immagine?
Riconosciamo le paure che si celano dietro tanta sofferenza?
Le risposte possono essere molteplici e ognuno di noi ne ha di personali. Però, forse, abbiamo messo a fuoco delle cose di noi che prima ignoravamo, riuscendo a mettere la nostra attenzione sulle nostre emozioni, anziché viverle solamente.
Stiamo iniziando a costruire una parte di noi, che prima ignoravamo, una parte che è in grado di osservare se stessa nel momento stesso in cui vive.
Forse fra molti anni, quando saremo di fronte a uno specchio, davanti alla nostra immagine riflessa, riusciremo, tra le pieghe della bocca, a guardarci con stupore, ri-conoscendo, per la prima volta, in quell’immagine noi stessi.