La vita dell'anima
Gent.ma dott.ssa Valerio,
pensando all'inconscio e alla dimensione conscia dell'io, mi chiedevo se, alla morte della persona, quindi dell'io di personalità, l'anima tornasse, o continuasse a esistere, nella dimensione dell'inconscio. Questo mi fa pensare che sia una vita d'anima inconsapevole, perlomeno per ciò che una persona può intendere per consapevolezza. Come viene teorizzato questo aspetto della psiche dopo la morte, Jung ne ha mai parlato? E che connessioni ci sono con le teorie religiose sui vari livelli di vita dell'anima? 
Grazie per questa domanda che tocca un tema esistenziale e ineludibile, e allo stesso tempo misterioso. In una intervista viene chiesto a Jung ottantenne se “crede” alla vita dopo la morte. La sua risposta, quando ero giovane, mi lasciò senza fiato, né riuscii a comprenderla: «Io non credo, io so».  Intendeva dire che non si tratta di fede, ma di esperienza. Aveva accompagnato tantissime persone, tra cui molti anziani, e aveva notato che i sogni spesso ignorano la morte: anche presso la fine continuano a prevedere il futuro, a progettare, a indicare senso e direzione. Altre volte annunciano il passaggio estremo, oppure indicano un pericolo mortale. La psiche non conosce le nostre misure di tempo e spazio, ma le travalica aprendosi ad altre dimensioni sconosciute.     
Ho recentemente appreso che, per riconoscere la santità di una persona prima di canonizzarla, la Chiesa ritiene indispensabili alcune caratteristiche. Accanto a doti eroiche, all’impegno etico e civile e al cammino spirituale vengono richiesti alcuni miracoli effettuati dopo la morte. L’operatività del defunto prosegue oltre il limite della vita visibile, e continua a manifestarsi attraverso guarigioni, sogni, visioni. Ne abbiamo molti esempi: dalle apparizioni della Vergine e dei santi, che spesso portano risanamenti ritenuti impossibili, ai nostri antenati che compaiono nei sogni per trarci di impaccio offrendoci prospettive rivoluzionarie.